Questo libro lento
segue la scia di una lumaca.
Questa lettura con un ritmo da "adagio" mi ha messo
alla prova nel riuscire a mantenere l'attenzione.
Ma muoversi lentamente permette di soffermarsi sulle cose meno visibili e sulle metafore che aprono il testo a differenti significati.
Adagio la lumaca
protagonista del racconto prende consapevolezza dei segnali quando qualcosa non va per il verso giusto.
L' equilibrio viene
interrotto quando una delle lumache smette di accontentarsi della vita nel Prato del Dente di Leone e inizia a interrogarsi su di sè e sul mondo circostante. Si domanda chi è, perchè non ha
un nome, perchè si muove così lentamente.
I
suoi sussurri allora diventano delle domande fatte ad alta voce e risultano fastidiose alle altre compagne che vorrebbero continuare una vita tranquilla, prevedibile e lasciare tutto come
è.
La lumaca quindi inizia a sentirsi sola, diversa e sente il bisogno di
cambiare. Trova il coraggio di seguire il suo desiderio di conoscenza e lentamente, molto lentamente, comincia un viaggio che si rivelerà ricco di incontri ed
emozioni.
Le vicende tra la lumaca e il resto del
"branco" rendono questa fiaba un racconto corale. Il branco funziona come il coro della tragedia greca, si fa portatore del senso comune e delle regole sociali ma senza l'emergere di un'identità
definita. Più che altro critica e ammonisce, prevede il peggio, scoraggia ogni iniziativa.
Seguendo la scia ci si imbatte in un percorso di formazione e conquiste in cui la lumaca troverà il suo nome, anche se si tratta di un nome piuttosto difficile da portare. Inizialmente non sa bene se fa davvero
per lei. Riuscirà a farlo suo nel corso del tempo, andando controcorrente grazie alla sua determinazione.
La lumaca decise di chiedere al
gufo i motivi della lentezza e, lentamente, molto lentamente, si diresse verso il più vetusto dei faggi. Lasciò il riparo delle foglie di calicanto quando la rugiada faceva splendere il prato
riflettendo le prime luci del mattino e arrivò al faggio quando le ombre lo coprivano come un manto di silenzio.
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«Voglio sapere perché sono così lenta» sussurrò la lumaca.
[...] «Sei lenta perché hai sulle spalle un gran peso» spiegò il gufo. [...] «Io so volare ma non lo faccio. Una volta, tanto tempo prima che voi lumache veniste ad abitare nel prato, c’erano molti più alberi di quelli che si vedono adesso. C’erano faggi e ippocastani, lecci, noci e querce. Tutti quegli alberi erano la mia casa, volavo di ramo in ramo, e il ricordo di quegli alberi che non ci sono più mi pesa così tanto che non posso volare. Tu sei una giovane lumaca e tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte, è dentro di te, e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta.»
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«Ti posso accompagnare?» sussurrò la lumaca.
«Dimmi prima cosa cerchi» rispose la tartaruga, e la lumaca le spiegò che voleva conoscere i motivi della propria lentezza e anche avere un nome, perché l’acqua che cade dal cielo si chiama pioggia, i frutti dei rovi si chiamano more e la delizia che cola dai favi si chiama miele.
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Lentamente, molto lentamente, [...] riprese a muoversi e quando si voltò vide che tutte le lumache la seguivano. Non provò orgoglio né la minima felicità. In quel momento pensò che avrebbe
preferito non essere seguita perché così sarebbe stata responsabile soltanto del proprio destino. Le lumache avevano fiducia in lei e questo la spaventò molto, ma poi ricordò Memoria: un
vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla, e lentamente, molto lentamente, continuò ad avanzare sull'erba.