MEG E L'AGORAFOBIA. NARRAZIONI SUL PANICO

 


L’analisi proposta in Constructing panic (Capps & Ochs, 1995) permette di assistere al dispiegarsi delle narrazioni di malattia che superano la dimensione del discorso strettamente medico fornendo una visione clinica e antropologica del disturbo di panico con agorafobia e un utile modello per la contestualizzazione culturale del panico attraverso le narrazioni di Meg.

 

L’agorafobia è esplorata come un fenomeno culturale localizzato, incorporato in un particolare sistema di credenze sulla salute e sui comportamenti salutari, all'interno di un particolare sistema di pratiche discorsive. Il panico, in questo senso, non può essere più letto come un fenomeno irrazionale, ma è ricondotto entro pattern comunicativi specifici del contesto di vita di Meg. 

 

Meg ha 34 anni e per sei anni non è riuscita allontanarsi a più di due miglia da casa a causa di attacchi di panico e agorafobia. Le storie di Meg sono state raccolte principalmente attraverso diverse conversazioni delle autrici con Meg e attraverso l’osservazione partecipante delle conversazioni di Meg e della sua famiglia riunita a tavola per la cena.

E’ sposata con William, hanno due figli, Beth di undici anni e Sean, in età prescolare. L’analisi delle narrazioni rende conto dei Modelli Esplicativi di malattia usati da Meg, dai suoi familiari e dalla società per descrivere l’agorafobia.

 

Da un punto di vista clinico le autrici sottolineano l’importanza che il terapeuta svolga un’attenta esplorazione delle pratiche conversazionali nell'ottica di dare prominenza all’expertise (competenza) del narratore come interprete e costruttore di teorie: il cliente può essere considerato come un'analista della narrazione ed acquisisce autorità. Le autrici infatti prendono le distanze da un approccio onnisciente rispetto al caso clinico, considerando Meg non una paziente ma una persona che ha autorevolezza nel parlare del proprio disturbo, contrastando in questo modo l’immagine stereotipata e svalutante di donna fragile, irrazionale che, in luoghi sconosciuti, si trova proiettata in modo inaspettato (in inglese reso con l’espressione “out of the blue”) in uno stato di panico anch'esso irrazionale [i].

 

Viene data particolare importanza ai processi comunicativi e interpersonali che ruotano attorno al sintomo: “la sintomatologia ha una forma strutturale, si presenta come un disordine familiare e comunitario prodotto dal soggetto: è la forma in cui il soggetto entra in conversazione con l’altro [...] mai, in psicoterapia, si può dimenticare che il paziente designato è una persona che esercita la propria responsabilità. La terapia consiste nel trasformare la designazione verso il paziente in designazione da parte del paziente,trasformare il paziente designato in designante della sua propria vita, in  moral agent” (Barbetta, 2008, p. 96-97).

 

   

Analizzando come Meg nelle narrazioni costruisce delle teorie circa le sue esperienze di panico, è possibile comprendere in che modo le dinamiche interpersonali siano coinvolte prima, durante e dopo l’attacco di panico.

Prendendo in considerazione i processi conversazionali sottesi alle narrazioni di Meg si apre la possibilità di distanziarsi dall'etichetta diagnostica “agorafobia” che Meg usa abitualmente per definire, oltre che il suo problema, anche sé stessa.

 

Nell'agorafobia è centrale un problema fenomenologico relativamente ai modi in cui la persona mette in relazione e comprende gli oggetti nel mondo, inclusa sé stessa. Meg infatti critica di frequente i suoi tentativi di far fronte a situazioni che sono “per nulla minacciose per le altre persone” e la sua paura di fare cose che “non sono realmente spaventose”.

Questa percezione che ci sia una distanza fra la sua visione del mondo e quella degli altri la rende ansiosa. Meg spesso ritiene che la sua visione del mondo sia distorta e che gli altri vedano il mondo come realmente è.

Meg riflette instancabilmente sulla sua incapacità di accedere a una visione del mondo che gli altri condividono ma che per lei inaccessibile. Meg tuttavia legittima piuttosto che relativizzare la visione del mondo prevalente di ciò che è ritenuto essere senso comune. 

L'incongruenza di ciò che Meg ha percepito potrebbe essere rinforzata dal fatto le persone del suo contesto di vita non danno supporto alle percezioni e alle speculazioni che Meg costruisce attraverso il racconto di storie riguardanti esperienze critiche che le hanno causato ansia e, in alcune occasioni, panico.

  


[i] Client-turned-narrative-analysis (Capps & Ochs, 1995, p. 181).